La retorica musicale, lungi dall'essere un mero apparato ornamentale, rappresenta una disciplina compositiva e analitica fondamentale che ha dominato il pensiero musicale europeo, in particolare durante l'epoca barocca. Il suo scopo primario non era semplicemente abbellire, ma "muovere gli affetti" (movere adfectus), ovvero persuadere, commuovere e convincere l'ascoltatore attraverso un discorso sonoro strutturato in modo eloquente e patetico.1 Questa disciplina mirava a perseguire la bellezza e l'efficacia comunicativa attraverso una combinazione sapiente e codificata di ritmo, melodia, armonia e struttura, trasformando la composizione musicale in un'arte del "ben dire" (ars bene dicendi).3Le fondamenta di questo approccio affondano nell'Umanesimo e nella riscoperta cinquecentesca dei grandi trattati di oratoria dell'antichità classica, in particolare le opere di Aristotele, Cicerone e Quintiliano.2 L'ideale umanistico di una profonda unione tra parola (logos) e suono (melos) creò il terreno fertile per un trasferimento sistematico delle categorie, delle strutture e delle figure dell'arte oratoria alla composizione musicale.4 La musica, soprattutto quella vocale, non era più vista solo come un veicolo per il testo, ma come un'orazione essa stessa, capace di amplificare, interpretare e persino trascendere il significato delle parole attraverso i propri mezzi specifici.
Questo cambio di paradigma epistemologico trovò la sua prima formulazione teorica nel concetto di Musica Poetica, un termine introdotto nel XVI secolo da teorici come Nicolaus Listenius nel suo Rudimenta Musicae Planae (1533).6 È cruciale comprendere che l'aggettivopoetica non si riferisce alla poesia in senso stretto, ma deriva dal termine greco poiesis, che significa "fare", "creare", "costruire".6 LaMusica Poetica è, dunque, l'arte di comporre musica, elevata allo status di disciplina intellettuale e arte liberale, analoga all'eloquenza e alla retorica.7 Questa nuova concezione superava la tradizionale dicotomia tra musica theorica (speculativa) e musica practica (esecutiva), proponendo la composizione come un atto creativo strutturato secondo principi logici e persuasivi. Teorici come Gallus Dressler arrivarono a proporre un'applicazione diretta della struttura del discorso classico—suddiviso in exordium (inizio), medium (parte centrale) e finis (fine)—alla forma di una composizione musicale, sancendo definitivamente il passaggio della musica da semplice prassi a linguaggio pienamente articolato.6 La retorica, quindi, non forniva alla musica una semplice analogia, ma un vero e proprio modello cognitivo e strutturale.
La transizione da un'affinità generica tra musica e parola a un sistema codificato di figure retorico-musicali fu opera di una generazione di teorici che, tra la fine del XVI e l'inizio del XVIII secolo, intrapresero il monumentale compito di creare un lessico per il nuovo linguaggio musicale.
Il ruolo pionieristico di Joachim Burmeister è ineludibile. Considerato il primo teorico ad aver unito sistematicamente la retorica classica e la pratica musicale, la sua opera principale, Musica Poetica (pubblicata a Rostock nel 1606), rappresenta il primo vero e proprio vocabolario di "figure musicali-retoriche".7 Il suo metodo consisteva nell'associare specifiche tecniche compositive—melodiche, armoniche, contrappuntistiche—alle figure tramandate dalla tradizione oratoria.6 L'approccio di Burmeister non era meramente metaforico, ma grammaticale. Ad esempio, l'uso del termine tautoëpia per definire le quinte e le ottave parallele, considerate un errore nella scrittura contrappuntistica, stabilisce un parallelo diretto tra le regole della composizione e le regole sintattiche del discorso corretto, dove tali ripetizioni sarebbero considerate un solecismo.6 Per dimostrare la validità e l'applicabilità del suo sistema, Burmeister incluse nel suo trattato un'analisi dettagliata del mottettoIn me transierunt di Orlando di Lasso, un modello pratico che mostrava come le figure da lui codificate fossero già presenti, implicitamente, nella musica dei grandi maestri.8
Se Burmeister fu il lessicografo, Johann Mattheson fu il grammatico e il sintatticista della retorica musicale. Il suo monumentale trattato Der vollkommene Capellmeister (L'esperto maestro di cappella, 1739) rappresenta il culmine e la sintesi più completa della teoria retorica applicata alla musica.12 Di particolare importanza è il nono capitolo, "Sulle Sezioni e Cesure della Retorica Musicale", dove Mattheson stabilisce una precisa gerarchia strutturale che assimila la composizione musicale a un testo letterario.15 In questa visione, le incisioni e le cadenze musicali non sono elementi arbitrari, ma corrispondono direttamente alla punteggiatura di un testo scritto: le cesure più piccole sono virgole, le cadenze sospese sono punti e virgola o due punti, e le cadenze perfette conclusive equivalgono a un punto fermo che chiude un periodo.15 Questa teoria, che Mattheson chiama diastolica, non si limita alla musica vocale. Egli, infatti, afferma esplicitamente che anche la musica puramente strumentale è modellata sulle strutture di quella vocale e deve quindi seguire gli stessi principi retorici di articolazione e disposizione, poiché anch'essa è un "discorso sonoro" (Klangrede).16
Strettamente connessa alla pratica retorica è la Affektenlehre, o Dottrina degli Affetti, una teoria estetica centrale nel pensiero tardo-barocco.17 Essa postula che la musica abbia il potere non solo di rappresentare, ma anche di suscitare nell'animo dell'ascoltatore specifiche passioni o "affetti".18
È fondamentale distinguere l'"affetto" barocco dall'"emozione" romantica. L'affetto non è un sentimento soggettivo e individuale, ma uno stato d'animo oggettivato, stilizzato e universalmente riconoscibile, come la gioia, il dolore, l'ira o la speranza.22 LaAffektenlehre si basava sulla convinzione che, utilizzando procedure musicali standardizzate, un compositore potesse creare un brano capace di produrre una risposta emotiva quasi involontaria nell'uditorio.21 Le sue origini risalgono alla dottrina dell'ethos della Grecia antica, ma fu durante il Barocco, sotto l'influenza dell'impulso classificatorio dell'Illuminismo, che si tentò di creare un vero e proprio catalogo sistematico di corrispondenze tra musica e affetti.19
Il nesso tra la Affektenlehre e la retorica musicale è causale e inscindibile: la figura retorica è il mezzo tecnico attraverso cui il compositore realizza l' affetto desiderato.2 I teorici, e in particolare Mattheson, codificarono queste corrispondenze: intervalli ampi e ascendenti per la gioia, intervalli stretti e cromatici per la tristezza, armonie aspre e ritmi veloci per la furia.21 Pertanto, unapathopoeia (l'uso di semitoni cromatici) è la figura scelta per esprimere l'affetto del dolore; un'anabasis (una linea melodica ascendente) è la figura per l'esaltazione.3 La figura retorica è, in sostanza, lo strumento pratico e concreto dellaAffektenlehre.17
Un corollario di questa dottrina era il principio dell'unità affettiva, secondo cui un singolo movimento o brano musicale doveva concentrarsi sull'espressione di un unico affetto fondamentale, al fine di razionalizzarne e massimizzarne l'impatto emotivo.18 Tuttavia, questa è una delle aree in cui emerge una chiara tensione tra la rigidità dei trattati e la libertà della pratica compositiva. Sebbene la teoria suggerisse un affetto per movimento, l'analisi delle opere dei grandi maestri rivela una complessità psicologica che va ben oltre. Compositori come Johann Sebastian Bach erano perfettamente in grado di giustapporre affetti contrastanti (contrarium) all'interno dello stesso pezzo, creando sfumature e ambiguità che sfidano una catalogazione meccanica.22 Questo dimostra che la teoria retorica non era una "ricetta" prescrittiva da seguire pedissequamente, ma piuttosto una "cassetta degli attrezzi" che i compositori utilizzavano con flessibilità e genio, a volte anche sovvertendo le convenzioni per creare effetti ancora più potenti e sorprendenti. La teoria forniva la grammatica, ma il genio scriveva la poesia.
Il vasto arsenale di figure retorico-musicali codificate dai teorici barocchi può essere organizzato in categorie funzionali, sebbene non esista una classificazione unica e universalmente accettata.3 La seguente suddivisione, basata sulla funzione strutturale ed espressiva, serve a orientare la comprensione di questo complesso vocabolario. La tabella sottostante condensa e organizza una selezione di questa terminologia, collegando il termine tecnico alla sua origine, alla sua realizzazione musicale e al suo scopo espressivo, fungendo da ponte tra la retorica classica e la prassi musicale barocca.
Tabella 1: Glossario Selezionato di Figure Retorico-Musicali
Queste figure, tra le più comuni, organizzano il discorso musicale attraverso la ripetizione, creando coesione, enfasi e aspettativa. L'anafora, la ripetizione di un motivo all'inizio di frasi successive, è forse la più fondamentale, essendo alla base di tecniche come la sequenza e l'imitazione contrappuntistica.1 La sua controparte, l'epistrophe (o epiphora), pone la ripetizione alla fine delle frasi, creando un senso di chiusura e insistenza.3 L'anadiplosis crea un effetto di elegante concatenazione, riprendendo all'inizio di una frase la conclusione di quella precedente.3 Per generare tensione, i compositori utilizzavano ilclimax (o gradatio), una serie di ripetizioni a gradi ascendenti, mentre il suo opposto, l'anticlimax, produce un effetto di rilassamento o delusione.3 Infine, ilpolyptoton distribuisce la stessa idea melodica tra voci o registri diversi, creando un dialogo e variando il colore timbrico.3
Al cuore dell'estetica barocca, specialmente nel madrigale, vi è l'idea che la musica possa "dipingere" il testo. Il termine ombrello per questa funzione è hypotyposis, la rappresentazione vivida e quasi visiva di un concetto testuale.23 Questa si realizza attraverso figure più specifiche. Le più intuitive sono l'anabasis e la catabasis, rispettivamente linee melodiche ascendenti e discendenti usate per illustrare concetti come "salire al cielo" (anabasis) o "precipitare negli abissi" (catabasis).3 Lacirculatio descrive con un movimento melodico circolare parole come "onde", "terra" o "girare".3 Per esprimere gli affetti più dolorosi, la figura principe è lapathopoeia, che consiste nell'uso di semitoni cromatici estranei alla tonalità principale, spesso organizzati in una linea discendente nota come passus duriusculus ("passaggio difficile"), un simbolo quasi universale del lamento e della sofferenza.3
Con la nascita dell'opera e dell'oratorio, la musica acquisisce una dimensione teatrale sempre più spiccata, servendosi di figure che introducono elementi di dramma, sorpresa e dialogo. Le figure di silenzio sono particolarmente potenti: l'aposiopesis è un'interruzione improvvisa e totale del suono, una pausa generale che crea un effetto di shock, suspense o che può simboleggiare la morte.3 Lasuspiratio frammenta la melodia con brevi pause, imitando i sospiri di un'anima afflitta 3, mentre l'abruptio è un troncamento brusco alla fine di una frase, tipico dello stile recitativo per sottolineare un affetto improvviso.23 Le figure di interpellazione danno voce al discorso musicale: l'interrogatio imita una domanda con una linea ascendente che termina su un'armonia irrisolta 23, mentre l'exclamatio utilizza un ampio salto ascendente (spesso una sesta) per rappresentare un grido di sorpresa o dolore.23 Infine, le dissonanze audaci, come laparrhesia (una dissonanza non preparata), vengono impiegate per creare momenti di particolare asprezza e tensione drammatica.3
L'applicazione pratica di questo lessico retorico è ciò che conferisce alla musica barocca la sua straordinaria potenza espressiva. L'analisi di opere chiave di Monteverdi, Schütz e Bach rivela non solo l'uso di singole figure, ma anche come la retorica modelli l'intera concezione strutturale e affettiva di una composizione.
Claudio Monteverdi si pone come figura cardine nella transizione dal Rinascimento al Barocco, teorizzando e mettendo in pratica la "seconda prattica", dove "l'orazione [il testo] è padrona dell'armonia e non serva".27
A partire dal suo Terzo Libro di Madrigali, Monteverdi utilizza le dissonanze e le figure pittoriche non come semplici artifici, ma come strumenti per un'intensa drammatizzazione del testo.3 In madrigali come "Ecco mormorar l'onde" (Secondo Libro), la musica realizza una perfettahypotyposis: le voci imitano il "mormorio" delle onde con un andamento ondulato e il "tremolio" delle fronde con rapide figurazioni, creando un affresco sonoro di straordinaria vividezza.28
Nell'Ottavo Libro, i Madrigali guerrieri et amorosi, Monteverdi introduce una sua invenzione, lo stile concitato, per rappresentare l'affetto dell'ira. Nel Combattimento di Tancredi e Clorinda, la rapida ribattuta di una singola nota o accordo (tremoli e pizzicati degli archi) e l'uso di ritmi marziali traducono musicalmente l'azione bellica e la furia dei personaggi, un esempio lampante di come una figura retorica (in questo caso, una forma estrema di ripetizione) possa definire un intero stile espressivo.3
L'unico frammento superstite dell'opera L'Arianna (1608), il celebre lamento, è l'archetipo del lamento barocco e un compendio di retorica del dolore.30 L'invocazione iniziale, "Lasciatemi morire!", è una potenteexclamatio, un grido di disperazione sottolineato da un ampio salto melodico e da un'armonia dissonante.30 L'intera aria è costellata di cromatismi discendenti (pathopoeia) e di pause che spezzano il canto (suspiratio), traducendo in suono l'angoscia e l'affanno di Arianna. La capacità di Monteverdi di piegare ogni elemento musicale—melodia, ritmo, armonia—all'espressione diretta e quasi fisica dell'affetto testuale rese quest'aria un modello imitato per tutto il XVII secolo.
Allievo di Gabrieli a Venezia, Heinrich Schütz fu il principale mediatore tra lo stile concertante italiano e la severa tradizione della musica sacra luterana. Per Schütz, la retorica non era un fine estetico, ma uno strumento di esegesi teologica, un modo per rendere il testo sacro più eloquente e commovente per il fedele.6
Composte per la cerimonia funebre del suo protettore, il Principe Heinrich Posthumus Reuß, le Musikalische Exequien (Esequie Musicali) sono un capolavoro di retorica sacra.35 La prima parte, concepita come una "Messa funebre tedesca", mette in musica una serie di versetti biblici e corali scelti dal principe stesso e incisi sulla sua bara. Schütz utilizza l'intero arsenale retorico per interpretare questi testi, creando un'opera di profonda consolazione e sensibilità testuale, dove la musica serve da commentario e amplificazione della Parola.35 L'aspetto più teatrale e retoricamente potente si trova nella terza parte, ilCanticum Simeonis. Qui, a un coro principale si contrappone un piccolo gruppo di solisti (due Serafini e l'Anima Beata) posto "in lontananza" (in die Ferne). Questo coro "celeste", che intona le parole "Beati i morti che muoiono nel Signore", crea un effetto di straordinaria suggestione, una hypotyposis spaziale che rende tangibile la separazione tra il mondo terreno e quello celeste, offrendo una visione sonora della beatitudine eterna.36
In Johann Sebastian Bach, la tradizione della retorica musicale raggiunge il suo apice di complessità intellettuale e profondità spirituale. Bach non si limita a "dipingere" il testo; lo interpreta, lo commenta e ne svela le implicazioni teologiche, trasformando la musica in un vero e proprio sermone sonoro.
L'applicazione dei principi retorici da parte di Bach non si limita alle opere vocali. Le sue composizioni strumentali, in particolare le fughe, possono essere analizzate come discorsi logicamente argomentati. La Fuga V in Re maggiore dal primo libro del Claviccembalo ben temperato, ad esempio, può essere letta secondo le parti dell'orazione classica: l'exordium corrisponde all'esposizione del soggetto; l'argumentatio (suddivisa in probatio e refutatio) si realizza nello sviluppo contrappuntistico, dove il soggetto viene messo alla prova, variato e confrontato con i controsoggetti; e la peroratio coincide con la sezione conclusiva, che riafferma il materiale tematico con rinnovata enfasi.25 L'imitazione stessa, che è il fondamento della fuga, è una forma dianaphora e mimesis, creando un discorso coerente e strettamente argomentato.40
Nelle cantate sacre, le figure retoriche diventano veicoli di concetti teologici complessi. L'anabasis e la catabasis non sono più solo descrizioni di movimento fisico, ma diventano allegorie dell'ascensione spirituale e della discesa nel peccato o nell'umiliazione.42 Nella Cantata BWV 27, "Wer weiß, wie nahe mir mein Ende", un'ascesa tonale per terze (da Do minore a Si bemolle maggiore) simboleggia il desiderio luterano di una morte beata e di un'ascesa al cielo.42 Nella Cantata BWV 106 (Actus Tragicus), l'intera struttura è una macro-figura retorica: una forma a piramide con una sezione ascendente che rappresenta il Vecchio Testamento (la legge e la morte) e una discendente che simboleggia il Nuovo Testamento (la grazia e la salvezza in Cristo).43 Lacatabasis è usata anche per illustrare la discesa della misericordia divina, come nelle impostazioni del Kyrie nel Clavier-Übung III.44
La Passione secondo Matteo è forse il più grandioso esempio di dramma retorico-musicale mai composto.
L'evoluzione della funzione retorica da Monteverdi a Bach segna un passaggio cruciale da una funzione primariamente mimetica a una esegetica. In Monteverdi, i madrigalismi sono legati in modo diretto e quasi pittorico al significato letterale delle parole ("mormorio", "guerra"), con lo scopo di rappresentare l'affetto descritto dal testo.3 In Schütz, la retorica serve a dare enfasi e struttura al testo sacro, con un intento devozionale.35 In Bach, la funzione diventa più astratta e teologica. Le figure non illustrano più solo parole, ma concetti complessi come il peccato e la redenzione.42 La musica non si limita a "dipingere" il testo, ma lointerpreta, diventando essa stessa un commentario, un'esegesi musicale.
L'avvento dello Stile Classico segnò un profondo cambiamento nel paradigma estetico e compositivo, portando a una trasformazione, piuttosto che a una scomparsa, dell'eredità retorica.
Lo stile classico, con la sua ricerca di equilibrio, chiarezza formale, naturalezza e "nobile semplicità", portò al graduale superamento della rigida Affektenlehre barocca, che iniziò a essere percepita come eccessivamente meccanica, artificiosa e innaturale.24 Il principio di unità affettiva lasciò il posto a un linguaggio caratterizzato dal contrasto e dalla varietà emotiva all'interno dello stesso movimento. L'emergere della forma-sonata—con la sua struttura tripartita (esposizione, sviluppo, ripresa) e il suo principio bitematico—divenne il nuovo paradigma strutturale, sostituendo ladispositio basata sul modello dell'orazione.53 L'interesse si spostò dalla persuasione attraverso affetti codificati alla creazione di una narrazione drammatica basata sul contrasto e sullo sviluppo dei temi. Tuttavia, molti gesti tipici del linguaggio classico—la dialettica domanda-risposta della fraseologia, i contrasti dinamici improvvisi, le pause cariche di tensione—possono essere visti come un'eredità interiorizzata e rielaborata del vocabolario retorico barocco, ora al servizio di una nuova sintassi e di una nuova drammaturgia.56
Con Ludwig van Beethoven, la musica compie un ulteriore passo, cessando di essere un discorso oggettivo per diventare l'espressione diretta dell'interiorità, della volontà e della biografia spirituale dell'artista.59 La retorica non serve più a rappresentare affetti universali e codificati, ma a costruire una narrazione eroica, titanica e profondamente personale.60 Le antiche figure vengono trasformate e caricate di un nuovo significato soggettivo: una pausa drammatica non è più una sempliceaposiopesis, ma un abisso esistenziale; un climax non è una figura di intensificazione, ma il culmine di una lotta interiore. La retorica, come è stato suggerito, diventa "visionaria", uno strumento per comunicare l'inesprimibile e per dare forma al sublime.60 Beethoven, pur caricando la sua musica di una passione senza precedenti, riesce a evitare la "banalità della retorica" grazie a una magistrale distribuzione drammatica delle parti e a una logica costruttiva ferrea, che integra la passione nel rigore della forma.61
Dopo essere stata messa in disparte durante il XIX secolo, dominato dall'estetica della "musica assoluta" che vedeva la retorica come qualcosa di "vuoto" e stereotipato, la disciplina della retorica musicale fu riscoperta nel XX secolo, specialmente in ambito musicologico tedesco.5 Studiosi come Hans-Heinrich Unger, Arnold Schmitz e, più tardi, direttori e musicisti come Nikolaus Harnoncourt, hanno dimostrato che la comprensione delle categorie retoriche è uno strumento indispensabile per un'analisi e un'interpretazione storicamente informata della musica barocca.16 Oggi, l'analisi retorica è una metodologia consolidata che permette di svelare la logica compositiva e le intenzioni espressive dei compositori dell'epoca, andando oltre la semplice analisi armonica o formale.4 L'eredità di un approccio "retorico" alla musica—intesa come linguaggio strutturato finalizzato alla comunicazione—persiste in fenomeni contemporanei come il neoclassicismo, la musica citazionista e le avanguardie che esplorano il rapporto tra suono e significato.64 Sebbene il vocabolario specifico sia cambiato, l'impulso a strutturare il suono per comunicare, argomentare e persuadere rimane una costante nella storia della musica occidentale.66La storia della retorica musicale segue un percorso ciclico. Nel Barocco, è una disciplina compositiva esplicita e codificata.7 Nel Classicismo, i suoi principi vengono interiorizzati e assorbiti nella grammatica implicita della forma-sonata.57 Nel Romanticismo, l'enfasi sull'espressione soggettiva porta a un suo oblio in favore dell'ideale di una musica "pura" e ineffabile.5 Infine, nel XX e XXI secolo, la musicologia storica la riscopre come disciplina analitica fondamentale, influenzando profondamente la prassi esecutiva e la nostra comprensione del repertorio antico.16
L'indagine sulla retorica musicale rivela un capitolo fondamentale della storia del pensiero occidentale, in cui la musica è stata concepita, composta e ascoltata come un linguaggio eloquente, capace di argomentare e persuadere con la stessa forza di un'orazione. Dall'aderenza mimetica al testo dei madrigalisti, passando per il dramma sacro di Schütz, fino all'esegesi teologica di Bach, la retorica ha fornito gli strumenti per dare forma e significato al discorso sonoro per oltre due secoli. Il suo successivo declino e la sua trasformazione nel Classicismo e nel Romanticismo non ne hanno cancellato l'eredità, ma l'hanno integrata in nuove sintassi espressive.La riscoperta novecentesca di questo antico "codice" ha dimostrato che la sua comprensione non è un mero esercizio accademico. È, al contrario, una chiave di volta indispensabile per l'interprete e per l'ascoltatore moderno. Essa permette di accedere alla profondità espressiva, intellettuale e spirituale di capolavori che, altrimenti, rischierebbero di essere apprezzati solo per la loro superficie sonora. La retorica musicale ci insegna ad ascoltare la musica barocca non come una semplice sequenza di belle melodie, ma come un discorso argomentato, commovente e profondamente umano.
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